Non passa ormai giorno che non ne venga denunciato uno.
Stiamo parlando dei casi di violenza sulle donne. Indifferentemente su compagne,
mogli, madri, ragazzine, giovani, anziane. Ogni delitto è una ferita inflitta
all'intero corpo sociale. Ma, parallelamente, duole anche il modo in cui questi
episodi delittuosi vengono etichettati e velocemente archiviati. Si fa la conta,
come un mantra scaramantico, dei femminicidi. Tuttalpiù si indugia con dovizia
di dettagli sulla modalità con cui questi crimini vengono commessi.
Ci chiediamo: perché non si azzarda una riflessione un po’
più ampia? Che so, ad esempio sullo stereotipo femminile - ampiamente diffuso e
sostenuto dai media e che da decenni ancora imperversa - che riduce la
donna, o meglio, il suo corpo, a semplice ornamento, quando va bene, o a
oggetto di piacere sessuale nei pressoché restanti casi. Sono così rare
le eccezioni in cui si mette in risalto il genio femminile!
Ed è chiaro che – dal momento che la donna viene presentata
come oggetto – come oggetto può essere trattata. Su un oggetto si esercitano
diritti: può essere comprato, posseduto a piacimento, venduto. Un oggetto si può
rompere, gettare via, sostituire con un altro simile o diverso.
L’opinione pubblica è ancora assai lontana, anche idealmente,
dal riconoscere alla donna la sua autentica dignità, in quanto persona, prima
ancora che come appartenente al genere femminile. E non introduciamo nemmeno il
principio di quella dignità regale, che deriva dall'essere figlia di Dio, concetto che
verrebbe compreso da pochi.
Spicca poi l'assordante omissione sul contesto
in cui spesso vengono perpetrati i femminicidi, vale a dire la famiglia, che per lo più non si nomina, quasi fosse un tabù. Si ignora ormai scientemente il fatto che la famiglia normo-costituita sia da sempre il genoma, la cellula base di ogni realtà sociale, e che, in quanto tale, rappresenti il suo elemento costitutivo, il presupposto del suo futuro.
La famiglia, nell'attuale contesto sociale, è evidentemente
realtà ormai fragilissima, relazionalmente parlando. E tuttavia se ne tacciono le
criticità, le sofferenze, non solo economiche. Forse perchè significherebbe dover risalire
alle cause che hanno portato a renderla tale, e ammettere di poter
spendere risorse, anche qui non solo economiche, per sostenerla, per rafforzarne
le basi e il percorso vitale.
E, guardando ancor più dentro alla questione, forse, a livello mediatico, si potrebbe spendere una riflessione anche sulla persistente emergenza educativa. Non una parola sul fatto che una ragazzina di 15 anni, violentata, possa tranquillamente
aggirarsi da sola alle cinque del mattino lungo una spiaggia. Questo sembra
essere placidamente accettato. Non una riflessione sull'autorità genitoriale, sul
dovere di custodia sulla vita dei figli, sulla capacità di dire i no che
possono salvarli.
Certo, non esistono ricette facili per ripristinare quel rispetto che garantirebbe a ogni donna non solo l’incolumità, ma anche la
valorizzazione, il riconoscimento di ciò che è, che può dare e fare per il bene
dell’intero consorzio umano.
Esistono comunque la scelta e la responsabilità personali di creare
nuova mentalità, di trasmettere uno sguardo sulla donna – e, aggiungiamo, sulla
famiglia di cui è spesso il cuore - che ne contempli, senza sciuparla, la vera
bellezza.
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