“La giovinezza non è più una condizione anagrafica, è una
categoria dello spirito”, afferma non senza ironia Pierangelo Sequeri in Contro gli idoli postmoderni. In
effetti, se ci guardiamo intorno, può nascere la percezione di una condizione
antropologica caratterizzata da una adolescenza interminabile, non solo tra gli
aventi diritto, vale a dire gli adolescenti in quanto tali, ma anche tra tanti
adulti, non a caso riclassificati come adultescenti.
Questa regressione temporale, riflesso del mito di una
vitalità permanente, afferma Sequeri, non risparmia nemmeno gli adulti apparentemente
più pensosi, affascinati anch'essi dalla possibilità di affermare una umanità
emancipata, libera, felice e padrona di sé.
Si intuisce che dietro questa adolescenza prolungata è nascosta la deriva di un narcisismo sistemico, che fa la gioia dell’economia dei consumi, l’industria del divertimento. E lo vediamo: la pubblicità e i programmi di intrattenimento offrono a ciclo continuo una sorta di mantra studiato all'uopo.
Si potrebbe anche buttarla in ridere, se non fosse che il
progetto personale di sentirsi eternamente giovani, forzando la verità di sé, non
può che ricorrere a forzature e/o simulazioni psicologiche, comportamentali,
del linguaggio, dell’abbigliamento, del corpo, ecc.
Dove sta la gravità? Nel considerare la maturità, con tutto
il suo bagaglio di sapienza trasmissibile alle nuove generazioni, come una
perdita, una privazione.
Ci pare che vivere semplicemente la propria, attuale
stagione della vita, qualunque essa sia, accresca la dignità, liberi da ansie
inutili, e aiuti a recuperare pace e sapienza.
C’è in ballo la destinazione ultima di ogni esistenza, vale a dire la trasmissione del suo significato, c'è in ballo l’autenticità dei legami e dei passaggi generazionali.
Nessun commento:
Posta un commento