In questo blog vorremmo riflettere sulla vita di coppia e di famiglia, cercando di guardare alcuni dei tanti aspetti che la riguardano direttamente o indirettamente. E desideriamo farlo in questo tempo, in cui sul concetto di famiglia tanto si dice e tanto si fa, nel bene e non solo.
lunedì 26 ottobre 2015
L’accidia e la cancellazione dell’altro
Forse è il vizio capitale meno popolare e riconosciuto, anche se oggi l’accidia è una malattia dell’anima molto diffusa, come pure un modo di vivere dai molti volti: quello dell’indifferenza, del pessimismo, della noia, della pigrizia, dell’assenza di passione. In questo senso l’accidia può essere definita un vizio sociale. Essa genera un vuoto interiore che si tende a riempire con mille sciocchezze. Diventa facilmente una scelta di vita, che induce a scegliere di non scegliere, a lasciarsi vivere. È una sorta di paralisi dell’anima, che fa perdere il gusto del bene, dell’amore, impedisce di gustare il momento presente, rende incapaci di stupirsi, di gioire. È una rassegnazione su tutti i fronti.
L’accidioso di solito ama poco, non si mette in gioco, tende a seppellire i suoi talenti. Si sente onesto perché non fa nulla di male, si limita a condannare il male intorno a sé, al massimo parla del bene che ci dovrebbe essere, ma pretende poco da se stesso concretamente. Gli alleati preferiti dell’accidioso sono la televisione, oggi il PC o lo smartphone, e il cibo.
Intuiamo che quando in famiglia qualche membro è vinto da questo vizio, tutti ne percepiscono il peso, perché manca nell’accidioso l’interessamento e la sensibilità verso le esigenze di chi ha intorno a sé (coniuge, figli, genitori). La qualità delle relazioni ne risente: si finisce per dedicare più attenzione alle cose che alle persone. Anzi, le cose diventano il rifugio per evitare la relazione. Con gli altri magari si parla, si comunica, ma in casa si tace, chiudendosi nel proprio mondo, nella convinzione che nulla valga veramente la pena. Anche davanti a problemi o prospettive, si preferisce lo status quo, rifiutando ogni novità o cambiamento.
Il danno più grande che reca questo vizio è che pian piano l’altro si cancella dal proprio orizzonte. Di solito si comincia con lo sguardo: non ci si guarda più negli occhi. Poi si parla sempre meno e mai di cose che contano. Dove non si contrasta l’accidia si finisce per vivere vite parallele. Queste coppie forse non si separano, ma di fatto non trasmettono un modello positivo di famiglia, perché manca in loro la speranza, la voglia di amare, di migliorare: seppelliscono di fatto il dono del sacramento per lasciarlo lì, inutilizzato.
Come contrastare il vizio dell’accidia concretamente? Riappropriandosi anzitutto del rapporto di coppia, e di quello con i figli, a partire da piccoli gesti quotidiani, che sanno comunicare inequivocabilmente un rinnovato desiderio di amare. Questo di solito innesca circoli virtuosi che risvegliano sorprendentemente l’amore e la vita tra le mura di casa, e anche fuori. I padri della Chiesa insegnano che è importante mettersi in ascolto di quel vuoto interiore che corrisponde al desiderio di infinito di ognuno, e colmarlo, aprendosi progressivamente alla dimensione trascendente, questo darà frutti inaspettati.
(fonti: Scacco matto ai vizi, Ugo Sartorio, Ed Messaggero Padova; misterogrande.org)
mercoledì 14 ottobre 2015
Il matrimonio non è esente dai vizi – La superbia
Cominciamo con la superbia, considerata dai sapienti la madre di tutti i vizi. Nella sua radice etimologica c’è “super”, sopra: il superbo è colui che si sente al di sopra degli altri, più degli altri. C’è una sovrastima di sé stessi, un’autopromozione in pratica. Con la superbia l’io diventa il principio e il fine di tutto. Chi è toccato da questo vizio normalmente giudica e condanna: possiamo dire che il giudizio è la misura della superbia.
Intuiamo facilmente che nella vita di coppia, nel rapporto
con i figli questa caratteristica va minare alla base ogni dinamica
relazionale, perché il giudizio del superbo viene percepito costantemente come
un impedimento alla relazione affettiva libera. Il superbo si reputa per natura
migliore degli altri, senza difetti e limiti, tende a suscitare sensi di colpa,
prevarica, svilisce inesorabilmente chi ha vicino (coniuge, figli), e questi
tenderanno a sentirsi costantemente inadeguati. Egli impedisce anche ai figli di crescere con equilibrio
nella loro identità maschile o femminile; i figli, infatti, tendono ad
identificarsi nel genitore del loro stesso sesso, e si percepiranno sviliti a loro
volta se si identificano col coniuge del superbo.
Può accadere che la superbia sia condivisa da entrambi i
coniugi, si assiste allora all’idolatria della coppia verso sé stessa. Questa
coppia si sente diversa da tutti gli altri, migliore, e finisce per isolarsi, o
a concedersi solo a chi può meritarne la presenza e la compagnia. Il suo
parlare è per lo più improntato al giudizio e alla critica.
Questo vizio va a contaminare alla radice anche il rapporto col
trascendente, dal momento che il superbo divinizza sé stesso prendendo il posto di Dio. Il danno spirituale che arreca questo vizio è
la perdita del senso del peccato, dal momento che non l’amore, bensì il proprio
comportamento diventa il metro per giudicare tutto e tutti. Il superbo tende a esigere da Dio che si
comporti come lui desidera e pensa, e si adirerà con il Creatore se non otterrà
ciò che ritiene giusto, tanto più che pensa di meritare quanto ha invece come
dono.
Esiste una cura? Bè, la fede indica come diventare diversamente
“super”. Basta non elevarsi al di sopra di tutto e tutti, Dio compreso, ma
riconoscersi come semplici creature, e porsi nella condizione di chi trova
gioia nel servire. Facendoci piccoli, attenti agli altri, troveremo la virtù
opposta alla superbia, vale a dire l’umiltà.
L’umiltà è strettamente legata all’amore, quanto più cresciamo nell’umiltà, tanto più cresciamo nell’amore e viceversa: ama di più chi perde di più, ama di più chi è più umile. Certo, questo richiede una vigilanza costante sui nostri pensieri, sulle nostre parole, sulle nostre azioni, ma questo impegno sarà ciò che ci consentirà di amare progressivamente sempre più liberi da noi stessi.
L’umiltà è strettamente legata all’amore, quanto più cresciamo nell’umiltà, tanto più cresciamo nell’amore e viceversa: ama di più chi perde di più, ama di più chi è più umile. Certo, questo richiede una vigilanza costante sui nostri pensieri, sulle nostre parole, sulle nostre azioni, ma questo impegno sarà ciò che ci consentirà di amare progressivamente sempre più liberi da noi stessi.
(fonti: Misteogrande.org; I sette vizi capitali, Dag Tessore)