Per lasciare il proprio nucleo familiare è necessario aver sviluppato la capacità di stare in piedi con le proprie gambe; il distacco sano implica un’autonomia, un’indipendenza (non solo economica, ma decisionale, di pensiero).
Se è così, allora i futuri suoceri sarebbero chiamati a “lasciar andare”, a riconoscere al figlio ormai adulto fiducia, libertà, responsabilità e il rispetto per le sue scelte e decisioni, evitando quelle invasioni, imposizioni, interferenze, possessività che di fatto gli impediscono di giungere alla maturità piena. Questo può richiedere una riflessione o un cammino da parte dei genitori, se non è frutto di un loro progetto educativo di lungo corso.
Ne stiamo parlando, perché in base a recenti indagini Istat, confermate dall’Ufficio nazionale di pastorale familiare della CEI, è emerso che uno dei fattori di maggior attrito tra marito e moglie è il rapporto con le famiglie d’origine (31%), e che i fallimenti di giovani coppie dovuti a un rapporto sbagliato con mamma e papà sono in continuo aumento; quando questi ultimi – alla prima crisi di coppia dei figli – si dichiarano disposti a “riprenderli in casa”, di fatto precludono alla coppia l’occasione per tentare di superare quel momento di difficoltà, cosa che potrebbe farli crescere e rafforzare il loro rapporto (come avviene in molti casi in cui non esiste la possibilità di ritorno alla famiglia d’origine).
Sembra che l’errore relazionale più ricorrente sia la dipendenza reciproca: così ci sono figli grandi che continuano ad essere dipendenti dai genitori, ma anche viceversa (spesso i genitori si aspettano di poter mantenere le abitudini di frequentazione, anche dopo il matrimonio del figlio/a), manca in questi casi il riconoscimento di quello spazio vitale inviolabile che consentirebbe al nuovo nucleo familiare di svilupparsi e crescere in modo autonomo.
Non si tratta, quindi, di negarsi reciprocamente affetto o vicinanza, ma di impostare (o reimpostare) il rapporto genitori-figli, amando sì, ma con sapienza, volendo cioè il bene e la libertà dell’altro, mettendo in conto che può essere necessario il tempo per fare insieme un cammino di revisione e di guarigione, per la conquista di nuovi equilibri.
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