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Safet Zec |
Ecco perché ci ha colpito il libro della scrittrice irlandese Catherine Dunne Quel che ora sappiamo. Questo romanzo descrive con delicata profondità il dramma di una famiglia che viene toccata da una grande tragedia, conseguentemente ad un atto di cyberbullismo, la cui vittima è il figlio adolescente. La forza dei legami familiari riuscirà a far superare quel momento, senza però cancellare i segni di quel dolore immenso.
Questo libro ci ha portato a riflettere su questo fenomeno che colpisce tanti giovani, il più delle volte a insaputa degli adulti che li circondano, dal momento che questi ultimi spesso non hanno dimestichezza né accesso agli strumenti tecnologici che i ragazzi usano quotidianamente.
Probabilmente tutti sappiamo che al cyberbullismo ricorrono per lo più dei giovani che utilizzano le nuove tecnologie per intimorire, molestare, mettere in imbarazzo, far sentire a disagio o escludere dei loro coetanei. Tutto questo può avvenire utilizzando le diverse modalità offerte dai nuovi media. Si servono di telefonate, messaggi (con o senza immagini), chat sincrone, social network (per es. Facebook, Twitter), siti di domande e risposte (Ask.fm), siti di giochi online, forum online.
Le vittime vengono colpite con pettegolezzi diffusi attraverso mail, sms, messaggi postati nei social network o nei blog che rendono pubbliche informazioni, immagini o video imbarazzanti su di loro (che a volte risultano essere falsi); in alcuni casi alla vittima viene rubata l’identità e il profilo social, in altri ne viene costruito uno falso, con lo scopo di metterla in imbarazzo o danneggiarne la reputazione, insultandola o deridendola, fino ad arrivare alle minacce fisiche attraverso un qualsiasi media. Queste aggressioni possono far seguito a episodi di bullismo (scolastico o più in generale nei luoghi di aggregazione dei ragazzi) o essere comportamenti solo online. (Fonte: http://www.azzurro.it)
I suicidi tra i giovanissimi a causa del cyberbullismo non si contano più, non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Nella maggior parte dei casi la solitudine in cui sono lasciati i ragazzi, nel gestire questo problema, è determinante. I familiari delle giovani vittime vengono spesso catapultati in questo spietato contesto di persecuzione quando ormai i danni sono già stati impetrati pesantemente.
E’ facile allora percepire da parte di noi adulti (genitori, educatori, insegnanti) l’urgenza di essere a loro presenti, non solo fisicamente, per tendere una mano dando ai giovani un ascolto senza giudizio, umile, per porci al loro fianco, per far sì che la loro libertà non sia cieca e raminga, ma abbia una meta: il loro bene, la loro dignità.
Nostro compito è farli sentire parte di un contesto familiare e sociale che li ama e li accompagna, che ha fiducia e stima di loro, che sa passare il testimone della speranza nel domani.